Se
siete ancora convinti che
“archeologia” fa rima con “stantia”,
bhè, vi sbagliate di grosso. E’ vero
anzi verissimo, che l’argomento
oggetto di studio da parte di tanti
specialisti è non è certo giovane e
ostenta millenni sulle spalle, ma è
anche vero che le tecniche e gli
strumenti da essi utilizzati per
l’indagine archeologica, sfruttano
le più avanzate tecnologie oggi a
nostra disposizione. Va anche detto
che la figura dell’archeologo
subacqueo è relativamente giovane, e
possiamo facilmente identificare la
sua nascita contemporaneamente a
quella dell’attività subacquea. Da
quando l’uomo ha varcato la porta
del mondo sommerso, egli si è
trovato di fronte ad un nuovo
universo, interamente sconosciuto da
esplorare, studiare, capire. Il
Mediterraneo è, ed è sempre stato,
un importante crocevia di civiltà e
scambi commerciali che hanno
lasciato orme ed importanti
testimonianze lungo le coste o i
fondali marini. Oggi, grazie ad una
tecnologia sempre più accessibile e
sofisticata, le indagini dei fondali
sommersi stanno vivendo una nuova
era. Se localizzare sott’acqua i
punti di interesse archeologico è
importante, lo è ancor più
catalogare, schedare, studiare,
analizzare e contestualizzare quanto
ritrovato. All’alba del terzo
millennio, come è cambiata la figura
dell’archeologo subacqueo, di quali
strumenti e di quali altri esperti
si avvale per condurre il proprio
lavoro? Un esempio di come si sia
evoluta la ricerca archeologica in
mare, è il Progetto Archeomar
(www.archeomar.it). Esso ha lo scopo
generale di censire, posizionare e
documentare i beni archeologici
sommersi di alcune regioni italiane
quali Campania, Puglia, Basilicata e
Calabria al fine di perfezionare la
tutela del patrimonio che essi
conservano.
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Il testo integrale è
presente all'interno del
mese di
Marzo 2006
della rivista
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