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Dalla nave napoleonica affondata al largo di
Punta Tagliamento sarà recuperato oggi un cannone in bronzo
I SEGRETI del brigantino "Mercure"
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Il brigantino Mercure prende
forma e vita tra le sabbie dei fondali marini al
largo di Punta Tagliamento, e costringe gli
esperti navali e gli storici a "rivedere" le
conoscenze su queste veloci navi da guerra. È il
risultato più sorprendente della terza campagna
di archeologia sottomarina del nucleo di
archeologia subacquea Nausicaa della
soprintendenza del Veneto in collaborazione con
il dipartimento di Scienze dell'antichità di Ca'
Foscari di Venezia che questa mattina toccherà
il momento più emozionante con il recupero di un
piccolo cannone in bronzo di un metro,
un'assoluta novità per la tipologia del
brigantino francese, mai citato dai registri
d'Oltralpe.
Al largo di Punta
Tagliamento, dove il litorale veneto sfuma
all'orizzonte, si consumò la trappola-imboscata
tesa dai servizi segreti di sua Maestà
britannica scatenando la terribile e cruenta
battaglia di Grado, che si rivelò decisiva per
il controllo dell'Adriatico da parte
dell'Inghilterra sulla nascente flotta del
giovane Regno d'Italia: era l'alba del 22
febbraio 1812 quando il Mercure , agli ordini
del tenente di vascello Zuanne Palinicucchia,
affondò portando in fondo al mare tutti i suoi
segreti. Un oblio durato quasi due secoli, fino
al 22 febbraio 2001 quando le reti del
peschereccio della famiglia Scala di Marano
Lagunare recuperarono accidentalmente una "carronata",
ossia uno dei 16 pezzi di artiglieria a canna
corta con cui era armato il Mercure
: quel giorno, oggi giustamente considerato
storico, fu scoperto il più antico (per ora)
relitto di nave battente bandiera italiana del
periodo pre-unitario, quando cioè c'era il Regno
d'Italia retto dal viceré Eugenio di Beauharnais,
figliastro di Napoleone. E altre tre carronate,
giusto un anno fa, furono recuperate con una
spettacolare operazione-salvataggio, momento
clou della seconda campagna di scavo.
«Quest'anno abbiamo
concentrato le indagini in due punti», spiega
Carlo Beltrame, archelogo navale, docente di
Archeologia marittima a Ca' Foscari, che conduce
sul campo lo scavo che ha la direzione
scientifica di Luigi Fozzati di Nausicaa. «Una è
nella zona principale del relitto, dove è stata
individuata bene la prua del Mercure ; l'altra è
a un centinaio di metri di distanza, e dovrebbe
trattarsi della zona di poppa». L'equipe del
professor Beltrame, con la partecipazione allo
scavo-scuola -unico in Italia- di una media di
quattro studenti, il supporto della ditta
Caressa di Grado e l'insostituibile contributo
del nucleo sommozzatori dei vigili del fuoco di
Trieste, ha messo in luce la cosiddetta ruota di
poppa, cioè quella caratteristica curvatura
della chiglia cui si agganciava il timone, che
ne seguiva la forma, con le cosiddette
femminelle: proprio nell'area di poppa, insieme
alle indagini geologiche sulla sedimentazione
del fondale e lo studio della duna ai piedi
della quale si è adagiato il relitto a 18 metri
di profondità, si indirizzeranno gli sforzi di
ricerca nell'ultima settimana di scavo (si
chiude il 31 agosto), quest'anno reso possibile
con un finanziamento del ministero per i Beni
culturali e la sponsorizzazione della Dragaggi
di Marghera e della Cressi Sub.
Ma le novità più sorprendenti
arrivano dalla prua. «Ormai ci possiamo fare
un'idea precisa dello scafo, in fasciame di
quercia ricoperto fino alla linea di
galleggiamento da una lamina di rame», conferma
Beltrame. «Molti le parti dell'attrezzatura
recuperate quali pulegge di bozzelli delle
manovre, di varie dimensioni, e lande, cioè le
staffe di metallo di collegamento tra lo scafo e
il sartiame, nonché elementi metallici di
collegamento delle parti dello scafo. Abbiamo
proceduto a un saggio in profondità constatando
che sotto la sabbia lo scafo molto ben
conservato è di almeno un metro e mezzo:
veramente eccezionale». E poi la prua: «È emersa
tutta la ruota di prua, molto simile a quella di
poppa, e abbiamo recuperato due dei quattro
oculi di cubia, cioè quei tubi in piombo (due
per lato della nave) che foravano il fasciame e
permettevano lo scorrimento delle catene delle
ancore, una delle quali è stata già rinvenuta.
Proprio questo dettaglio ci ha convinti che
eravamo nella zona di prua».
Sempre qui, l'altra
eccezionale scoperta: due cannoni in ferro
lunghi due metri e mezzo, e uno più piccolo in
bronzo. «Ciò conferma l'importanza
dell'archeologia navale, perché dà indicazioni
che la letteratura ingegneristica non ci ha
tramandato. Finora infatti si pensava che i
brigantini fossero armati solo con le carronate.
Qui invece abbiamo la presenza di altri due tipi
di armamenti pesanti. I due canoni lunghi, per i
tiri a lunga gittata erano posti in prua, ma
potevano essere spostati in poppa in caso di
inseguimento. E poi il prezioso cannone in
bronzo, materiale raramente usato all'inizio
dell'Ottocento. Non vediamo l'ora di poterlo
studiare bene». Questa mattina il cannoncino in
bronzo verrà recuperato con una delicata
operazione di pescaggio e poi sarà a
disposizione degli esperti.
Graziano Tavan |
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