L’Oro dell’Elba - Operazione Polluce - ha tutti
gli ingredienti di un romanzo d’avventura ma al contrario di quanto si possa
pensare è la cronaca di un fatto avvenuto due anni or sono nelle acque
territoriali italiane di cui l’ultimo atto è venuto alla luce nel luglio 2004.
Questo furto archeologico, perché di questo si tratta, sarebbe passato
inosservato anche con la confisca di una piccola parte dei gioielli, se gli
autori, esperti di mare e appassionati di tutto ciò che ruota attorno ai relitti
marini, non avessero compreso che c’era qualcosa di molto strano in tutta la
vicenda.
Andando a ritroso nel tempo non solo hanno seguito la flebile traccia lasciata
dai predoni moderni nel tentativo di capire chi fossero e da dove provenissero.
Con grande sorpresa si sono imbattuti in una scoperta incredibile. Il vascello
da cui era stato sottratto il bottino, pur essendo ligure, del famoso armatore
Rubattino, quello che diede le navi ai Mille di Garibaldi, era un fantasma.
La nave non esisteva negli annuari specializzati, negli archivi della Marina,
sulle carte nautiche.
Di questa piroscafo, il Polluce, si conosceva però una leggenda.
Nelle storie elbane si raccontava che una nave di re Ferdinando IV fosse partita
da Napoli verso il nord con gli oggetti più preziosi della casa reale borbonica,
ma giunta all’altezza dell’Elba per non cadere nelle mani della flotta francese
si affondò. I naufraghi giunti a terra raccontarono delle meraviglie che il
Pollux trasportava.
Nel tempo vi furono alcuni tentativi di recupero. A metà del 1800 una società
livornese tentò di individuare il relitto, senza fortuna. Poi tra il 1920 e ’30
il sindaco di Capoliveri si impegnò ripetutamente per individuare il relitto ed
infine nel 1935 la famosa So.ri.ma di Genova giunse a Porto Azzurro con tre navi
recupero ed i suoi palombari per tentare di recuperare il tesoro del Pollux.
L’operazione fece tanto scalpore che la radio nazionale fece anche una diretta.
Poi più nulla. Rimase solo la leggenda. Ma tra i cercatori di tesori
internazionali, non il Pollux ma il genovese Polluce, vapore a ruote a pale,
rappresentava un bottino ricchissimo ma difficile da prendere per la poca
distanza dalla costa isolana.
Il 10 ottobre 2002 un detective di Scotland Yard consegnava ai Carabinieri
Tutela Patrimonio di Firenze quanto era stato sequestrato il 17 giugno 2001
presso una casa d’aste londinese. Il bottino proveniva da un recupero illegale
in acque elbane. Da un relitto sconosciuto.
L’operazione di recupero era avvenuta l’anno prima a cavallo tra gennaio e
febbraio con l’uso di un rimorchiatore armato di gru e benna, noleggiato a
Genova, che si era ancorato sul relitto ripulendolo completamente.
Il colmo di questa vicenda è che i predoni inglesi, sette inglesi ed un
francese, avevano abilmente bleffato le Autorità italiane che avevano concesso
l’autorizzazione di recupero proprio in quel punto credendo che la compagnia
inglese recuperasse lingotti di alluminio su una nave inglese affondata nel 1916
da un siluro tedesco.
L’indagine svolta dagli autori inizia dalla riconsegna del bottino confiscato da
Scotland Yard informato di quanto accadeva da una telefonata anonima giunta
dall’Italia.
In un lavoro durato oltre sedici mesi sulla scorta di informazioni raccolte
spesso sulle banchine dei porti si è riusciti a comprendere come i predoni
fossero riusciti ad organizzare il colpo. Passando inosservati se non fosse
stato per qualcuno che insoddisfatto ha fatto la soffiata alla polizia. Ne esce
un piccolo spaccato di un mondo molto particolare.
Era però anche necessario capire il motivo per cui quella nave era indicata come
tesoriera, unico esempio nelle acque italiane, nell’atlante dei relitti.
Sparsi in una decina di Archivi di Stato ed in numerose biblioteche furono
trovati brandelli di documenti e la quasi totalità dei carteggi di un processo
tenutosi a Livorno nel 1842, durato ben quattro anni.
Nelle centinaia di fogli le testimonianze dei passeggeri, e del comandante, che
si salvarono dal naufragio del Polluce, la notte del 17 giugno 1841, a poco meno
di tre miglia da Capo Calvo, Isola d’Elba, dopo essere stati abbordati dal
vapore napoletano Mongibello che fece colare a picco la nuovissima nave di
Rubattino in meno di 15 minuti.
Non fu un incidente. Fu un atto voluto, doloso. Lentamente dai documenti
ritrovati esce fuori un frammento dell’Italia risorgimentale sconosciuto. Il
Polluce era andato a fondo con 170 mila monete d’oro e 70.000 colonnati
d’argento oltre ai gioielli ed i beni di circa cinquanta ricchi passeggeri.
Rubattino vinse il processo ma non fu mai risarcito. I passeggeri scomparvero
nel nulla e la lista di carico di questa nave è inesistente.
Questa immensa quantità di denaro era con molta probabilità destinata ai
rivoluzionari mazziniani e le ultime ipotesi fanno pensare che l’intellighenzia
russa avesse inviato una sorta di preziosa colletta per mezzo di due suoi
altolocati rappresentanti.
Nelle ultime pagine del libro sono stati allegati due preziosi documenti in
forma fotostatica. Il racconto del colonnello De Laugier testimone oculare al
tentativo di recupero del settembre 1841, opera marina geniale frutto
dell’esperienza di un nostromo livornese, ed una piccola parte degli atti del
processo tenuto dal famoso avvocato livornese Guerrazzi, notissimo rivoluzionari
italiano.
Il valore archeologico del tesoro è impossibile a definirsi. Qualche ricercatore
lo ha stabilito in cento milioni di dollari e comunque così elevato da entrare
nella hit parade dei tesori marini più cospicui al mondo.
Ai predoni inglesi sono stati sottratti poco più di duemila monete e qualche
gioiello. Il resto non si sa dove sia e moltissimo rimane sul fondo del mare.
Le nostre Autorità a quanto pare non sono interessate a recuperare né quanto
rimane sul fondo del mare a 103 metri né la storia di questa nave che appartiene
al Risorgimento italiano.
Il Polluce verrà presto nuovamente dimenticato.
Altre informazioni:
sito
www.pollucewreck.biz
Magenes Editrice
Via Mauro Macchi 50
Milano
L’Oro dell’Elba-
Operazione Polluce
328 pagine - 21x15
16 euro
(ordinabile presso la
propria libreria direttamente alla casa editrice)