Il mondo
dei sub veneziani è entrato in agitazione da quando il Consorzio Venezia
Nuova ha iniziato i lavori per la realizzazione della lunata a Malamocco
e, in prospettiva, per il progetto della conca di navigazione. Le acque di
Malamocco, infatti, nascondono dei rilevanti reperti archeologici,
scoperti proprio dai sub del Club subacqueo San Marco e mèta di ricerche
e indagini scientifiche, la cui sopravvivenza potrebbe essere compromessa
dai faraonici lavori che interessano e interesseranno la bocca portuale.
Si
tratta, in particolare, dei relitti di due navi, detto l'uno il
"relitto dei tubi" a causa del carico che la nave trasportava e
l'altro il "relitto delle Ceppe" per il luogo dove riposa,
vicino appunto alla Palada delle Ceppe. Il primo, dicono i sub, rischia di
essere seppellito sotto le migliaia di tonnellate di pietrame che il
Consorzio sta scaricando in quel tratto di mare per creare la diga a
protezione della conca di navigazione; tra esse, anche la "prima
pietra" del Mose con tanto di messaggio autografo del presidente del
consiglio, Silvio Berlusconi. Il secondo è su di un fondale nei pressi di
Santa Maria del Mare, e cioé nell'area che dovrà venire totalmente
sbancata e consolidata con milioni di metri cubi di cemento per realizzare
la chiusa mobile e le spalle e la platea del Mose.
Non si
tratta, diciamolo subito, di reperti antichissimi, ma risalenti
all'ottocento; forse, ad essere ottimisti, all'inizio dell'ottocento per
il caso, almeno, del "relitto delle Ceppe". «Non per questo -
sottolinea Luigi Fozzati, dirigente del Nucleo di archeologia subacquea
della Soprintendenza archeologica - non meritano di non essere tutelati e
conservati».
Del primo
relitto sono rimasti lo scafo in legno e il carico, composto da tubi di
ferro flangiati, e il particolare potrebbe fare postdatare l'affondamento,
probabilmente dovuto all'eccesso di carico, addirittura ai primi del
Novecento. Del secondo, affondato probabilmente a causa di un incendio,
sono rimaste diverse tavole del fondo in più pezzi, con tanto di chiodi
fatti a mano, parte della copertura della chiglia in rame, una
"bigotta" tonda (una carrucola a tre fori). Poco più giù, a 16
metri, senza rapporto col relitto della nave, riposa uno splendido vaso
invetriato cinquecentesco, forse un "albarello" da farmacia, con
la lieve immagine di una danzatrice che reca in una mano una falce di luna
e un compasso nell'altra.
Ad ogni
buon conto, la Soprintendenza archeologica è già intervenuta, anche se
il Consorzio garantisce che tutte le prescrizioni sono e saranno
rispettate. «Abbiamo segnalato i siti al Magistrato alle Acque perché
non vengano compromessi», ha spiegato Fozzati, spiegando che sono stati
immediatamenti fatti tutti i rilievi del caso, con prospezioni de visu e
l'utilizzo sia di scandagli laterali ("Side scan soner") sia
verticali in grado di "vedere" fino a 5 metri sotto il fango
("Sub bottom profiler"). «Ora - ha concluso Fozzati - avvieremo
una seconda campagna di approfondimenti anche per tenere tutto sotto
controllo».
Silvio Testa
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