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ARCHEOLOGIA
Nel cantiere sommerso, al largo di Grado, dove si lavora sui resti del
brigantino francese dell’Ottocento
«Mercurio», la
Storia riemerge dal mare
Pezzi
d’artiglieria e palle di cannone testimoniano un naufragio di quasi due
secoli fa |
GRADO - Il relitto del «Mercurio» si raggiunge attraversando nubi di
mucillagini portate dalla corrente. Galleggiano in brani sfilacciati a
media profondità, ma spariscono più in basso, quando compare il primo
cannone affondato nella sabbia.
Quanto rimane di quello che, con ogni probabilità, era il brigantino
francese colato a picco all’alba del 22 febbraio del 1812 nel corso di
una furibonda battaglia navale, giace sparso sul fondale in un’area di
duecento metri di diametro. Sette pezzi d’artiglieria, un cumulo di
lingotti in ferro e palle di cannone, vari oggetti in metallo tra cui un
rampino d’arrembaggio, parti dell’opera morta dello scafo rinforzate
con lamine di rame sono l’ultima testimonianza di un naufragio avvenuto
quasi due secoli fa, e aprono un capitolo di storia che attende di essere
completato.
Siamo sette miglia a largo di Grado, a meno di venti metri di profondità,
sul cantiere sommerso allestito dalla Soprintendenza del Veneto in
collaborazione con un gruppo di enti e università. Per due settimane, in
oltre cento ore di immersione è stato effettuato lo scavo d’urgenza
intorno al relitto del brigantino, ritrovamento più unico che raro nel
Mediterraneo. «Ce n’è un altro simile a Eraclea e uno a Pesaro -
spiega Carlo Beltrame, archeologo, direttore operativo dello scavo -, ma
trovare vascelli del XIX secolo è più difficile che imbattersi in
relitti e reperti di epoca classica, perché il ferro e il legno si
deteriorano molto più rapidamente della terracotta e del piombo; un vero
unicum sono invece i cannoni, sia per la quantità rinvenuta sia per la
tipologia; mai stato fatto un ritrovamento del genere in Italia».
Per questo quando nel febbraio scorso il pescatore Giovanni Scala ha
tirato su dal fondo il primo cannone impigliato in un rampone, la «gabbia»
a strascico per le capesante, la Soprintendenza del Veneto (cui, per pochi
metri, spetta la competenza territoriale) si è gettata a capofitto sul
relitto stanziando 50 milioni per una prima ricognizione sui resti (ma il
lavoro dovrà continuare). La missione è stata affidata al Nausicaa, il
nucleo subacqueo della Soprintendenza veneta guidato da Luigi Fozzati. Ed
è stato Fozzati a scegliere la squadra operativa, un pool di
professionisti composto, oltre che da Beltrame, dall’archeologo Dario
Gaddi, Francesco Dossola del Nausicaa, Carlo Leggieri della Soprintendenza
delle Marche, Luciano Russo della Geomar di Trieste, Nino Caressa di
Grado, direttore tecnico del cantiere (conosce quel mare come pochi
altri). Sono tutti esperti sommozzatori in grado di operare in condizioni
difficili e con le più moderne tecniche di ricerca. «Ad esempio -
racconta Beltrame - per individuare i cannoni disseminati sul fondo
abbiamo utilizzato la metodologia di prospezione con il Side Scansonar: è
una specie di pesce elettronico capace di rilevare anche la più minuta
anomalia del fondo; non sfugge nemmeno una bottiglia». Per i rilevamenti
del relitto, invece, è stata applicata la tecnica della fotogrammetria:
«Una macchina fotografica - spiega Beltrame - scorre su un binario e
scatta una lunga serie di fotogrammi che una volta elaborati al computer
permettono di avere un’immagine completa e tridimensionale del relitto».
Altri risultati li hanno dati i sondaggi con il metal-detector messo a
disposizione dei vigili del fuoco: «Il relitto è insabbiato in profondità
- afferma Gaddi - e non è facile individuare oggetti sepolti; ma le
ricerche continuano».
Il cantiere è stato suddiviso in tre settori, all’interno dei quali
sono state effettuate rilevazioni al millimetro, mentre con la sorbona ad
acqua è stata scavata l’area intorno all’opera morta del vascello.
Tuttavia la zona interessata è assai più vasta: «Ciò che finora
abbiamo trovato è incoraggiante - continua Beltrame -; gli otto cannoni,
vari oggetti e parti dello scafo saranno analizzati e studiati con
attenzione, anche perché non siamo ancora certi dell’identità della
nave».
Potrebbero essere i cannoni la chiave per risolvere il mistero. Si tratta,
come ha riconosciuto Marco Morin, uno dei massimi esperti nel campo, di
carronade, pezzi di artiglieria in ferro più corti e leggeri degli
ordinari cannoni dello stesso calibro. Erano impiegati quasi
esclusivamente sulle navi, furono progettati tra il 1751 e il 1755 da
Robert Melville, costruiti dalla scozzese Carron Company e per anni
vennero utilizzati in vari modelli (abbastanza simili alle carronade,
anche se fusi in bronzo, erano anche gli obusieri, che dietro suggerimento
di Angelo Emo vennero adottati per armare i casseri e i castelli dei
vascelli veneziani). «Il fatto che cannoni inglesi potessero trovarsi su
un vascello francese non deve stupire - dice Gaddi -: il mercato delle
armi dell’epoca non era poi tanto diverso da quello attuale».
In definitiva, che si tratti del «Mercurio» o di un’altra nave, magari
più antica, l’eccezionalità della scoperta rimane. E apre alcuni
interrogativi sul futuro del relitto. «Per il momento - spiega Fozzati -
il lavoro continuerà per altri quindici giorni; il materiale recuperato
sarà sottoposto a restauro da parte della ditta Morigi di Bologna per
conto della Soprintendenza del Veneto». «Le difficoltà maggiori -
aggiunge Fozzati - non stanno tanto nel recupero dal fondo delle carronade,
quanto piuttosto nell’opera di restauro». Un’altra soluzione - vista
la non elevata profondità - potrebbe essere quella di realizzare un parco
archeologico sottomarino per la gioia dei tanti subacquei sportivi, un
po’ come è stato fatto a Ustica. Ma le Soprintedenze, si sa, su questi
argomenti ci vanno con i piedi di piombo, e l’ipotesi non viene presa in
considerazione. Per intanto il lavoro sul relitto del brigantino proseguirà.
Prima di lasciare il cantiere sommerso e risalire in superficie diamo
ancora sguardo intorno. La visibilità è scarsa, ma un’improvvisa
corrente fredda pulisce l’acqua dal pulviscolo in sospensione. Per
qualche secondo i relitto si rivela nella sua spettrale interezza: i legni
della chiglia, il cumulo della zavorra, i proiettili di ferro, i fusti
delle carronade coricati sul fondale. Nelle bocche da fuoco un paio di
gronghi hanno trovato comoda tana, granchi e castagnole si aggirano tra i
frammenti di quella che fu una nave da guerra. Poi la corrente si placa, e
un sottile velo di sabbia torna a coprire gli ultimi resti del lontano
naufragio.
Pietro
Spirito
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